Da articolo del 26/5/2020 di Freedamedia.it
Daremo Più Importanza Alla Salute Mentale D’Ora in Poi?
Recentemente, l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) ci ha messo esplicitamente in guardia: dopo la pandemia, ci aspetta un’enorme crisi psicologica, se i Paesi colpiti non agiscono e investono sulla salute mentale dei loro cittadini. Le conseguenze dell’incertezza, della disinformazione, dell’isolamento sociale, della perdita di persone care o del calo dei redditi dovuto alla crisi sanitaria ed economica, saranno davvero visibili solo a lungo termine. Siamo psicologicamente preparati a tutto questo?
Normalmente, tendiamo ad accettare con più facilità una malattia fisica: ci concediamo di condividere quel che ci accade, esprimiamo ciò che proviamo e chiediamo sostegno ai nostri amici e familiari, senza sentirci in colpa per il nostro disagio. Invece con la salute mentale è diverso. Spesso i disturbi mentali ci provocano vergogna, perché ancora oggi persiste un grande tabù intorno al tema, motivo per cui vi associamo idee sbagliate e stereotipi, che spesso portano chi soffre di problemi psicologici o psichiatrici a minimizzare o nascondere la propria condizione, per evitare di giudicarsi e sentirsi giudicati. Infatti, solo una piccola parte delle persone che ne avrebbero bisogno riceve un trattamento adeguato, e in molti altri casi i disturbi mentali non vengono neanche diagnosticati.
A seguito dell’epidemia di COVID-19, però, i media hanno iniziato a parlare più del solito di problemi come l’ansia, la depressione o lo stress, avendo compreso fin da subito che la paura di questa nuova malattia e il distanziamento sociale imposto alla popolazione avrebbero potuto avere un forte impatto psicologico su adulti e bambini. E così è stato, in effetti; nonostante ciò, per molti di noi è stato comunque di grande aiuto il fatto di poter accedere a informazioni specializzate, comprendere e normalizzare il disagio di questi giorni, e di sapere che non siamo soli. È quindi possibile che l’attuale dibattito sulla salute mentale ci aiuti a dare in fututo maggiore importanza al tema, e a conquistare la libertà di parlare apertamente dei nostri problemi?
L’impatto psicologico del Coronavirus
Negli ultimi mesi, il consumo di ansiolitici è salito alle stelle, le ricerche hanno evidenziato un aumento dei sintomi della depressione e dell’ansia in vari Paesi, e la situazione dovrebbe peggiorare nei prossimi tempi. Il 47% dei medici e delle infermiere canadesi ha fatto richiesta di un supporto psicologico per far fronte al carico di lavoro e allo stress cui sono stati sottoposti in Pronto Soccorso durante queste settimane; e il 50% del personale sanitario in Cina soffre già di disturbi ansioso-depressivi.
Ma questo fenomeno non ci è nuovo: durante l’epidemia di SARS nel 2003 a Hong Kong – come riporta questo studio e spiega anche la BBC – si era già registrato un aumento del 30% dei suicidi tra le persone di età superiore ai 65 anni. L’impatto di un’epidemia infettiva ha più conseguenze a livello psicologico di quanto avremmo potuto immaginare. Infatti Dévora Kestel, direttrice del Dipartimento di salute mentale e abuso di sostanze dell’OMS, ha evidenziato un aumento dei dati sul suicidio durante questo periodo.
Senza dubbio, è la popolazione più giovane ad essere stata maggiormente colpita, a causa della chiusura delle scuole, della perdita della routine quotidiana, della preoccupazione per la salute e il benessere dei propri familiari e della mancanza di contatto sociale con altri bambini. D’altra parte, le persone adulte, più vulnerabili fisicamente e psicologicamente, stanno avendo difficoltà ad accedere a un intrattenimento televisivo diverso: sono quindi esposte a un costante flusso di informazione (e disinformazione) estremamente negativo riguardo al virus. Questa sovraesposizione può destabilizzare psicologicamente gli adulti e alzare i loro livelli di ansia: l’aumento del numero di decessi, il collasso del sistema sanitario e la necessità di fare il triage per fasce d’età negli ospedali sono tutte informazioni che inviano loro il messaggio che, qualora si ammalassero, avrebbero scarse possibilità di sopravvivere.
La responsabilità della salute mentale
Sebbene un passo fondamentale per alleviare le conseguenze negative di questa crisi sarebbe quello di sviluppare una gestione più responsabile dei media, l’OMS ha chiesto ai governi di incrementare urgentemente “gli investimenti nei servizi di salute mentale”. La pandemia sta colpendo la salute mentale individuale e collettiva a livello globale e in maniera straordinaria, come avevamo visto accadere in passato solo in occasione di eventi storici come gli attentati dell’11 settembre 2001 alle Torri Gemelle, che un decennio fa segnò psicologicamente la popolazione e, sebbene forse in misura inferiore rispetto al Coronavirus, comportò un cambio di paradigma.
Il disagio di oggi è il disagio di tutti. Paura, ansia, stress, apatia, tristezza, insonnia o incapacità di concentrarsi sono sentimenti condivisi dalla stragrande maggioranza delle persone in questi giorni. E parlare apertamente della nostra salute psicologica è un passo importante nella normalizzazione dei disturbi mentali – sebbene perché accadesse ci è voluta una pandemia globale devastante.
Nonostante l’attenuazione dell’emergenza, la crisi non è finita: continuiamo a convivere con restrizioni, divieti, regole di distanziamento sociale, e ci troviamo di fronte a un futuro economico e professionale incerto, ragion per cui la vera necessità di assistenza psicologica provocata alla pandemia si potrà capire solo sulla lunga durata. Per questo motivo, anche le Nazioni Unite si sono raccomandate di includere la salute mentale nei programmi nazionali di risposta al Coronavirus. Volendo evidenziare la controparte positiva della situazione attuale però, sembra almeno che, nel nuovo mondo che si va configurando, potremo convivere più apertamente e senza pregiudizi con i nostri problemi psicologici.